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Podcast in tema di storia, letteratura e culture del territorio. Singoli episodi della durata di circa 30 minuti pensati per un utile intrattenimento. read less
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Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Nona
14-11-2021
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Nona
Siamo nell’ottavo cerchio dell’inferno. Il luogo è l’ottava bolgia ove vengono puniti coloro che sono stati consiglieri fraudolenti. Il canto inizia con una severa invettiva nei confronti di Firenze, aggiungendosi così alle numerose dure prese di posizione del poeta contro la città che lo aveva esiliato. Ci avviciniamo sempre più al centro dell’inferno nei luoghi, quindi, ove la geografia dantesca colloca i peccati più gravi. Dante è attratto dallo sterminato numero di fuochi che vede emergere dalla terra e chiede a Virgilio di poter interagire con un fuoco che si divide in due punte. Virgilio gli annuncia che lì sono puniti Ulisse e Diomede ambedue responsabili di inganni che portarono al rapimento del Palladio a Troia e alla costruzione del cavallo fatale che permise ai greci di penetrare entro le mura di Troia. Dante chiede di poter parlare con Ulisse (lo maggior corno della fiamma antica) e qui comincia uno dei monologhi più affascinanti del poema. Dante non conosceva i poemi omerici e la leggenda di Ulisse gli era nota attraverso varie versioni diverse tra loro e comunque distanti da quanto narrato nell’Odissea. Nasce da questo la forza e la bellezza di versi che richiamano sempre e comunque, anche nella punizione eterna, l’esaltazione della natura umana. Niente può trattenere Ulisse dalla voglia di conoscere il mondo e i mondi. Sarà questa sete di conoscenza che porterà Ulisse a violare l’inviolabile e a condannare lui e i suoi compagni ad una morte certa. CANTO VENTISEIESIMO Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’più m’attempo. Noi ci partimmo, e su per le scalee che n’avea fatto iborni a scender pria, rimontò ’l duca mio e trasse mee; e proseguendo la solinga via, tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia. Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’e’ vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. E qual colui che si vengiò con li orsi vide ’l carro d’Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, ch’el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: tal si move ciascuna per la gola del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, e ogne fiamma un peccatore invola. Io stava sovra ’l ponte a veder surto, sì che s’io non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanz’esser urto. E ’l duca che mi vide tanto atteso, disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel ch’elli è inceso». «Maestro mio», rispuos’io, «per udirti son io più certo; ma già m’era avviso che così fosse, e già voleva dirti: chi è ’n quel foco che vien sì diviso di sopra, che par surger de la pira dov’Eteòcle col fratel fu miso?». Rispuose a me: «Là dentro si martira Ulisse e Diomede, e così insieme a la vendetta vanno come a l’ira; e dentro da la lor fiamma si geme l’agguato del caval che f
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Ottava
28-06-2021
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Ottava
Brunetto Latini, conosciuto pochissimo dalla maggior parte delle persone, è invece una delle figure più importanti della storia più antica della letteratura italiana. Lo stesso Dante Alighieri, nel quindicesimo canto dell’ Inferno, lo riconosce come proprio maestro, ribadendo il concetto fondamentale sancito dalla storia la quale consacra Brunetto Latini come padre del cosiddetto “dolce stilnovo” e maestro dei più grandi esponenti della corrente letteraria, appunto, degli “stilnovisti”. Figura centrale quindi quella di Brunetto Latini il quale componendo la propria opera “Il Tesoro”, realizza quella che viene riconosciuta da critici autorevolissimi come la prima enciclopedia in “lingua volgare”. Latini può essere quindi definito come colui che sia in prima persona con la propria opera sia con l’insegnamento a Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e lo stesso Dante Alighieri pone le prime salde fondamenta della lingua italiana. È infatti il lavoro di questi letterati e poeti, unito alle precedenti esperienze che fanno capo alla poesia siciliana (Francesco Casella e Cecco Angiolieri) che danno alla lingua di quell’epoca il colpo d’ala necessario per farla assurgere allo stadio di compiuta bellezza che tutto il mondo a tutt’oggi riconosce. Potremmo quindi, ignorando la permanenza in terra di Francia di Brunetto Latini, ricostruire il percorso di sedimentazione della nostra lingua come un circuito magico che partendo dal latino medievale si trasferisce in Provenza dando nerbo al linguaggio dei trovieri che componevano i loro poemi con le leggende della “Canzone di Orlando” la quale giunse in Sicilia con la dominazione franca dando così alimento alla poesia dei “siciliani” i quali a loro volta a motivo di contatto personale o d’arte trasmisero quel linguaggio a Firenze dove Brunetto Latini diede metodo alla lingua e Dante la mise in opera col successo “eterno” che tutti conosciamo. CANTO QUINDICESIMO Ora cen porta l’un de’ duri margini; e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, sì che dal foco salva l’acqua e li argini. Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa, fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Carentana il caldo senta: a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi, qual che si fosse, lo maestro félli. Già eravam da la selva rimossi tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era, perch’io in dietro rivolto mi fossi, quando incontrammo d’anime una schiera che venian lungo l’argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridò: "Qual maraviglia!". E io, quando ’l suo braccio a me distese, ficcaï li occhi per lo cotto aspetto, sì che ’l viso abbrusciato non difese la conoscenza süa al mio ’ntelletto; e chinando la mano a la sua faccia, rispuosi: "Siete voi qui, ser Brunetto?". E quelli: "O figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia". I’ dissi lui: "Quanto posso, ven preco; e se volete che con voi m’asseggia, faròl, se piace a costui che vo seco". "O figliuol", disse, "qual di questa greggia s’arresta punto, giace poi cent’anni sanz’arrostarsi quando ’l foco il feggia. Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni; e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi etterni danni". Io non osava scender de la strada per andar par di lui; ma ’l capo chino tenea com’uom che reverente vada. El cominciò: "Qual fortuna o destino anzi l’ultimo dì qua giù ti mena? e chi è questi che mostra ’l cammino?". "Là sù di s
Piccole Patrie: l' impronta delle Apuane - Podcast
22-06-2021
Piccole Patrie: l' impronta delle Apuane - Podcast
Il terzo episodio tratto dal manoscritto “Storie del mio paese” ci riporta all’elemento - essenziale in ogni scrittura creativa - dell’onestà dell’autore. Non fosse bastato nei due episodi precedenti, Giovanni Pellegrini ribadisce qui in piena innocenza quest’elemento che innerva i fondamenti dell’attività di chi scrive. Nell’onesta e schietta ricerca di sé stesso lo scrittore creativo, sia esso poeta o narratore, si profonde infatti nel continuo approfondimento della conoscenza della propria anima pescando e cercando nei propri ricordi, desideri, sogni, sensazioni e in mille altri pensieri; e nel medesimo atto del comporre mette a disposizione di chi legge ciò che ha trovato e incontrato. Giovanni Pellegrini, almeno in alcuni tratti, fa addirittura di più; riesce cioè a sognare, e a farci sognare, i propri ricordi. Così, quella semplicità e profondità del ricordo sa ricomprendere in sé anche l’eredità di quella profonda ironia campagnola e toscana sedimentata in secoli di civiltà agricola; fino a raggiungere il termine della vita attuale, al definitivo tramonto della memoria che si poteva condividere anticamente in quei luoghi e allo scorgere del novo orizzonte che, nel presente, resta ancora confuso. E in ogni elemento che s’ ascolta tra passato e presente, emergono - anche se in modo tenue e accennato - l’ ansia e il desiderio che il futuro possa mantenere e far crescere quello che resta, in originalità e unicità, del patrimonio di vita che Giovanni ha ricevuto in eredità. Introduzione di Filippo Roncaccia Testo e voce di Giovanni Pellegrini Nell'immagine: un pennato toscano, attrezzo citato nel racconto. Musiche: Valse musette Tiersen style, Jo Brunenberg - Si tu vois ma mère, Sidney Bechet - Indifference, Dominique Paats
Piccole Patrie: Rocca di Papa e il Dottor Montanari, carbonaro
10-06-2021
Piccole Patrie: Rocca di Papa e il Dottor Montanari, carbonaro
Una ricerca storica e documentale abile, paziente e appassionata effettuata da Rita Gatta ha permesso alla stessa insegnante e artista rocchigiana di ritrovare in modo preciso ed esauriente lo sfondo prospettico dei grandi fatti dell’epoca dell’Italia preunitaria intrecciato ai quadri della vita quotidiana vissuti a Rocca Di Papa in quel primo “ottocento”. Rita Gatta struttura il lavoro che sentiremo trasfuso nel podcast, utilizzando il collegamento fra le comuni vicende paesane e la vita di personaggi storici importanti come Massimo D’Azeglio e lo stesso dottor Montanari, medico chirurgo condotto a Rocca Di Papa e al tempo stesso figura di rilievo della carboneria italiana e romana. Nei dialoghi che ascolteremo ci guiderà il contrappunto perenne ma sempre divertente e vivo tra l’allusione alla grande storia che vive la speranza di grandi cambiamenti, di cui quel tempo pre – risorgimentale era completamente impregnato, e la cronaca che invece nei fatti quotidiani proponeva, come propone sempre, il daffare dei poveri cittadini con l’aumento delle tariffe fiscali e il rincaro di merci e servizi. I dialoghi creati da Rita Gatta per spiegare il tutto sono costruiti riprendendo in pieno la cultura popolare dell’ epoca e proposti, quindi, in una lingua rocchigiana tanto impeccabile quanto interessante, da seguire in molti tratti anche per lo spasso che se ne può trovare nelle inflessioni e nei pittoreschi modi di dire. Introduzione di Filippo Roncaccia – Testo e voce di Rita Gatta Musica: Domenico Cimarosa, Concerto per oboe in Do Minore – Solista Arthur Benjamin Nell’immagine: il cardinale Segretario di Stato Agostino Rivarola
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Settima
13-05-2021
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Settima
Dante e Virgilio proseguendo nel loro cammino giungono nel secondo girone del settimo Cerchio e si addentrano nella selva dei suicidi. E’ quello territorio delle arpie, mostruose creature con viso di donna e corpo d’uccello con il compito di tormentare i dannati, tramutati in alberi per aver usurpato, togliendosi la vita, la prerogativa divina. Personaggio centrale del Canto è Pier delle Vigne. Introduzione e voce di Carlo Colognese. Illustrazione di Gustavo Doré. CANTO TREDICESIMO Non era ancor di là Nesso arrivato,quando noi ci mettemmo per un boscoche da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco;non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,che cacciar de le Strofade i Troianicon tristo annunzio di futuro danno. Ali hanno late, e colli e visi umani,piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;fanno lamenti in su li alberi strani. E ’l buon maestro «Prima che più entre,sappi che se’ nel secondo girone»,mi cominciò a dire, «e sarai mentre che tu verrai ne l’orribil sabbione.Però riguarda ben; sì vederaicose che torrien fede al mio sermone». Io sentia d’ogne parte trarre guai,e non vedea persona che ’l facesse;per ch’io tutto smarrito m’arrestai. Cred’io ch’ei credette ch’io credesseche tante voci uscisser, tra quei bronchida gente che per noi si nascondesse. Però disse ’l maestro: «Se tu tronchiqualche fraschetta d’una d’este piante,li pensier c’hai si faran tutti monchi». Allor porsi la mano un poco avante,e colsi un ramicel da un gran pruno;e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». Da che fatto fu poi di sangue bruno,ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:ben dovrebb’esser la tua man più pia,se state fossimo anime di serpi». Come d’un stizzo verde ch’arso siada l’un de’capi, che da l’altro gemee cigola per vento che va via, sì de la scheggia rotta usciva insiemeparole e sangue; ond’io lasciai la cimacadere, e stetti come l’uom che teme. «S’elli avesse potuto creder prima»,rispuose ’l savio mio, «anima lesa,ciò c’ha veduto pur con la mia rima, non averebbe in te la man distesa;ma la cosa incredibile mi feceindurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n veced’alcun’ammenda tua fama rinfreschinel mondo sù, dove tornar li lece». E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,ch’i’ non posso tacere; e voi non graviperch’io un poco a ragionar m’inveschi. Io son colui che tenni ambo le chiavidel cor di Federigo, e che le volsi,serrando e diserrando, sì soavi, che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:fede portai al glorioso offizio,tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. La meretrice che mai da l’ospiziodi Cesare non torse li occhi putti,morte comune e de le corti vizio, infiammò contra me li animi tutti;e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. L’animo mio, per disdegnoso gusto,credendo col morir fuggir disdegno,ingiusto fece me contra me giusto. Per le nove radici d’esto legnovi giuro che già mai non ruppi fedeal mio segnor, che fu d’onor sì degno. E se di voi alcun nel mondo riede,conforti la memoria mia, che giaceancor del colpo che ’nvidia le diede». Un poco at
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Sesta
28-04-2021
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese - Parte Sesta
Nel decimo Canto, Dante, guelfo "bianco" e in quanto tale condannato all'esilio nel 1302, incontra fra i dannati nel sesto cerchio dell' Inferno - quello dove si trovano le anime che hanno peccato di incontinenza e in particolare di eresia - due fiorentini illustri. Si tratta di Farinata degli Uberti, che era stato capo dei ghibellini, e di Cavalcante de' Cavalcanti, padre dell'amico di gioventù del poeta, Guido. Così Firenze fa da sfondo alle disquisizioni tra i personaggi, tra lotte di fazioni e ricordi nostalgici. Introduzione e voce di Carlo Colognese Illustrazione di Gustavo Doré Episodi precedenti: Parte Quinta Parte Quarta Parte Terza Parte Seconda Parte Prima CANTO DECIMO Ora sen va per un secreto calle, tra ’l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle. «O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com’a te piace, parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt’i coperchi, e nessun guardia face». E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati. Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l’anima col corpo morta fanno. Però a la dimanda che mi faci quinc’entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci». E io: «Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m’hai non pur mo a ciò disposto». «O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco. La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patria natio a la qual forse fui troppo molesto». Subitamente questo suono uscìo d’una de l’arche; però m’accostai, temendo, un poco più al duca mio. Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto: da la cintola in sù tutto ’l vedrai». Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s’ergea col petto e con la fronte com’avesse l’inferno a gran dispitto. E l’animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: «Le parole tue sien conte». Com’io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». Io ch’era d’ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel’apersi; ond’ei levò le ciglia un poco in suso; poi disse: «Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fiate li dispersi». «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata; ma i vostri non appreser ben quell’arte». Allor surse a la vista scoperchiata un’ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s’era in ginocchie levata. Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s’altri era meco; e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, piangendo disse: «Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio ov’è? e perché non è teco?». E io a lui: «Da me stesso non vegno: colui ch’attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». Le sue parole e ’l modo de la pena m’avean di costui già letto il nome; per
Piccole Patrie: Svringuli svranguli a Rocca di Papa
20-04-2021
Piccole Patrie: Svringuli svranguli a Rocca di Papa
Rita Gatta compone poesie in dialetto non per rifugiarsi in un sentimento vanamente nostalgico verso il passato. I lavori di Rita servono a riportare in luce la voce genuina di luoghi e sentimenti; per porli al confronto con i linguaggi nuovi sorti o importati a Rocca Di Papa e più in generale nei Castelli Romani. Anche i ricordi che riemergono, leggendo attentamente, servono a salvare il passato per porlo a disposizione di chi vive nel presente; perché, come giusto e necessario, possa essere trovato il vero senso della nostra storia soprattutto in prospettiva futura. Abbiamo scelto, come prima volta dei nostri podcast, quattro componimenti tratti dalla raccolta “Svrìnguli svrànguli” (Edizioni Controluce, Monte Compatri, 2010) che riguardano altrettanti momenti di reale interesse nella vita dei tempi “antichi” o della prima età di Rita stessa. Testo e voce di Rita Gatta - Note introduttive di Filippo Roncaccia Nell'immagine: fiori della pianta detta "Berretta del Prete" (a Rocca di Papa : "Svringuli svranguli") Musiche: 1) Saltarello tarantella Evento ad Artena 2012 - 2) 'Ecco la Primavera' di Francesco Landini (1325?-1397), interpreti non precisati - 3) Marin Marais Le Basque - Flauto traverso Lenka Molčányiová Flauto Zorka Mrvová - 4) Thomas Walsh: Inisheer - Irish Traditional Music - Eseguono gli alunni di una scuola di musica di Visingsoe in Svezia. AudioRivista.it, prima di pubblicare foto o testi reperiti in rete, compie le opportune verifiche per accertarne il libero regime di circolazione e non violare i diritti di autore o altri diritti esclusivi di terzi. Per segnalare alla redazione eventuali errori nell'uso del materiale riservato, scrivere a redazione@audiorivista.it: si provvederà prontamente alla rimozione del materiale lesivo di diritti di terzi.